Coronavirus, l’impatto nel settore food & beverage/ L’approfondimento a cura dello Studio Mondini Rusconi

Pubblichiamo di seguito il capitolo «Il settore Food & Beverage», curato dagli avvocati Giorgio Rusconi e Omar Cesana dello Studio legale Mondini Rusconi e inserito all’interno di «Covid-19: la normativa d’emergenza e i suoi effetti nelle varie aree del diritto», quaderno di approfondimento promosso da ASLA, Associazione Studi Legali Associati.

Introduzione

L’attuale crisi sanitaria sta spiegando i suoi inesorabili effetti su tutti i settori dell’economia e sulla quotidianità di cittadini e imprese, incidendo significativamente sui diritti e le libertà di ciascuno. Il comparto agroalimentare, da sempre eccellenza e traino della crescita e dell’affermazione dell’Italia nel mondo, affronta ora l’emergenza in atto, forte della consapevolezza di poter essere un elemento portante della sopravvivenza economica del Sistema Paese ed una chiave di volta della rinascita che si auspica possa avvenire nel più breve tempo possibile.

Con questa consapevolezza, che deriva dal secolare connubio tra tradizione e innovazione, da sempre caratteristico della cultura italiana in campo alimentare, la filiera guarda con attenzione al mondo scientifico (da cui ottenere importanti dati e informazioni per la migliore gestione sul piano igienico della supply chain) e recepisce con interesse gli interventi normativi a sostegno di imprenditori e agricoltori, di cui è fondamentale comprendere le potenzialità e i possibili effetti su attività che, allo stato, proseguono senza soluzione di continuità. Il tutto con sempre maggior cognizione di come gli strumenti del diritto, ivi inclusa l’analisi giurisprudenziale dei tradizionali istituti privatistici, possano supportare l’operatore nella migliore gestione della crisi.

 

Coronavirus e sicurezza alimentare: dubbi e risposte per aziende e consumatori

Come noto, uno dei principi cardine che ha segnato la nascita e l’affermazione di un diritto alimentare a livello europeo è rappresentato dalla sicurezza degli alimenti che vengono prodotti e messi in commercio nel mercato interno.

È la stessa genesi della disciplina che qui occupa a chiarire che un sempre piuù complesso sistema normativo in materia di alimenti e bevande è in realtà nato in risposta a gravi crisi sanitarie, ponendo come prioritario nelle politiche nazionali e comunitarie l’impegno ad assicurare standard di sicurezza adeguati ed una costante attenzione alla tutela del consumatore.

Emblematico di ciò è il Considerando 1 con il quale esordisce il Reg. CE n. 178/2002 del 28 gennaio 2002 (il cosiddetto “General Food Law Regulation”), in base al quale “la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno e contribuisce in maniera significativa alla salute e al benessere dei cittadini, nonché ai loro interessi sociali ed economici”.

Il Regolamento realizza e codifica quel concetto “Dai campi alla tavola” che ha trovato la propria prima enunciazione nel Libro Bianco sulla sicurezza alimentare del 2000 e la cui formula racchiude lo spirito dell’intera legislazione in materia di diritto alimentare, ossia l’impegno e la sfida verso un approccio integrato che copra tutta la filiera alimentare, per garantire la circolazione nel mercato europeo di prodotti alimentari e mangimi sicuri.

Oggi, di fronte a una situazione sanitaria di cui la storia contemporanea sembra non avere memoria, è fondamentale mantenere saldi i principi di cui alla legislazione in materia di sicurezza alimentare allo scopo di guidare il mercato e i singoli operatori che lo compongono verso un corretto approccio all’emergenza, nella prospettiva di impedire l’ulteriore diffusione e trasmissione del SARS-CoV-2.

Ma per poter correttamente affrontare una tematica così delicata e potenzialmente idonea ad impattare in maniera significativa sulla prassi interna delle singole aziende e sulle loro procedure di valutazione, gestione e comunicazione del rischio, è dirimente avere, per quanto possibile, chiarezza sul piano scientifico delle sfide che oggi si trovano ad affrontare imprese e professionisti del settore.

In primo luogo è fondamentale osservare che attualmente non esistono prove che identificano il cibo come possibile fonte o veicolo di trasmissione probabile del coronavirus.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel proprio report n. 32 del 21 febbraio 2020, ha affrontato nello specifico il tema della possibile correlazione tra virus e alimentazione. È stato rilevato come il tema sia allo studio e sotto osservazione da parte di tutte le autorità per la sicurezza alimentare, anche nell’ambito dell’International Food Safety Authorities Network (INFOSAN), allo scopo di ottenere maggiori informazioni sul potenziale di persistenza del virus sugli alimenti commercializzati e sul possibile ruolo del cibo nella trasmissione del virus. In questi termini e sulla base delle precedenti esperienze e dati su SARS-CoV e MERS-CoV, è possibile sostenere che trasmissioni del virus attraverso il consumo di cibo non sono state segnalate né verificate.

Tuttavia, sono state espresse preoccupazioni circa il potenziale di persistenza di questi virus su alimenti crudi di origine animale. Attualmente, sono in corso indagini per valutare la vitalità e il tempo di sopravvivenza del SARS-CoV-2. In generale, i coronavirus sono molto stabili in uno stato di congelamento, con una sopravvivenza fino a due anni a -20°C. Gli studi condotti su SARS-CoV e MERS-CoV indicano che tali virus possono persistere su diverse superfici per alcuni giorni, a seconda di una combinazione di parametri come temperatura, umidità e luce. Ad esempio, a temperatura di refrigerazione (4°C), il MERS- CoV può rimanere vitale fino a 72 ore.

Le attuali evidenze su altri ceppi di coronavirus mostrano tuttavia che, pur a fronte di una certa stabilità a basse temperature e a temperature di congelamento per un certo periodo, le regole di igiene e le buone pratiche di sicurezza alimentare possono impedire la loro trasmissione attraverso il cibo. In particolare, i coronavirus sono termolabili, il che significa che sono sensibili alle normali temperature di cottura (70°C). Pertanto, come regola generale, si dovrebbe evitare il consumo di prodotti animali crudi o poco cotti. La carne cruda, il latte crudo o gli organi animali crudi dovrebbero inoltre essere manipolati con cura per evitare la contaminazione incrociata.

Di qui l’importanza di seguire buone pratiche igieniche durante la manipolazione e la preparazione dei cibi ed adottare rigorosamente i più comuni protocolli di pulizia e disinfezione sia a livello industriale che domestico.

La European Food Safety Authority (EFSA) fa sapere dal suo sito istituzionale, con una nota del 9 marzo 2020, che sta osservando con attenzione la situazione relativa all’epidemia di coronavirus che sta interessando un gran numero di Paesi in tutto il mondo, confermando che “attualmente non ci sono prove che il cibo sia fonte o veicolo di trasmissione probabile del virus”. Marta Hugas, direttore scientifico EFSA ha così commentato: “Le esperienze fatte con precedenti focolai epidemici riconducibili ai coronavirus, come il coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV) e il coronavirus della sindrome respiratoria mediorientale (MERS-CoV), evidenziano che non si è verificata trasmissione tramite il consumo di cibi. Al momento non ci sono prove che il coronavirus sia diverso in nessun modo”.

Anche secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (European Centre for Disease Prevention and Control, ECDC) è improbabile che gli alimenti siano una fonte di trasmissione del virus. Infatti, anche se all’origine dell’epidemia in Cina c’è stato un passaggio del coronavirus dagli animali all’uomo, ora l’agente patogeno si sta diffondendo da persona a persona, principalmente attraverso goccioline respiratorie che le persone emettono quando starnutiscono, tossiscono o espirano.

Analogo commento proviene dall’organismo tedesco preposto alla valutazione del rischio, il Bundesinstitut für Risikobewertung (BfR), che, in una dedicata sezione di Questions and Answers aggiornata alla data del 30 marzo 2020, ribadisce che, sebbene i precedenti coronavirus SARS e MERS fossero resistenti al freddo e potessero rimanere infettivi a -20°C per un massimo di 2 anni in uno stato di congelamento, finora non vi sono prove di catene di infezione per il SARS-CoV-2 attraverso il consumo di cibo, compresi i cibi congelati.

Sempre sul punto, il gruppo di esperti della Agenzia francese per l’alimentazione, la salute e la sicurezza sul lavoro e l’ambiente (Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail, ANSES) è giunto a conclusioni sostanzialmente coincidenti (nota dell’11 marzo 2020). In base allo stato attuale delle conoscenze, è stata esclusa la trasmissione del virus SARS-CoV-2 direttamente attraverso il tratto digestivo. La stessa osservazione del virus nelle feci dei pazienti è stata ricondotta con maggiore probabilità alla circolazione del virus nel sangue a seguito di un’infezione respiratoria piuttosto che attraverso la digestione di quanto ingerito, pur non potendo escludere completamente la possibilità che il tratto respiratorio si infetti durante la masticazione. Anche l’agenzia transalpina ha rilevato che, come per altri coronavirus noti, questo virus è sensibile alle temperature di cottura. Un trattamento termico a 63°C per 4 minuti (temperatura utilizzata per la preparazione di cibi caldi nella ristorazione collettiva) può quindi ridurre la contaminazione di un prodotto alimentare di un fattore di 10.000. Una persona infetta può infettare gli alimenti preparandoli o maneggiandoli con le mani sporche, o attraverso le goccioline infettive prodotte durante la tosse o gli starnuti. Le buone pratiche igieniche, tuttavia, se applicate correttamente, sono un modo efficace per evitare che gli alimenti siano contaminati dal virus SARS- CoV-2.

A questi contributi fa eco il Ministero della Salute italiano che, sul proprio sito istituzionale, ribadisce, sempre in tema di possibile trasmissibilità del virus, che “normalmente le malattie respiratorie non si trasmettono con gli alimenti, che comunque devono essere manipolati rispettando le buone pratiche igieniche ed evitando il contatto tra alimenti crudi e cotti”, confermando inoltre l’assoluta sicurezza dell’acqua del rubinetto, in ragione dell’efficacia delle pratiche di depurazione nell’abbattimento dei virus, insieme a condizioni ambientali che compromettono la vitalità stessa dei virus (temperatura, luce solare, livelli di pH elevati) ed alla fase finale di disinfezione.

In conclusione, i dati scientifici a disposizione confermano, per quanto riguarda la sicurezza degli alimenti, l’importanza di continuare a seguire quelle regole di igiene che, nella prassi, sono già ampiamente affermate e proprie dell’industria alimentare, con particolare attenzione e rigoroso rispetto dei protocolli di pulizia, sanificazione e disinfezione degli ambienti di lavoro, delle superfici, delle attrezzature e delle dotazioni del personale, e privilegiando, se del caso, trattamenti termici che potrebbero interrompere la vita e la propagazione del virus, così come evitando cross contamination con alimenti crudi o poco cotti.

Restano ovviamente ferme le disposizioni in materia di tutela dei lavoratori e del luogo di lavoro, anche alla luce dei recenti interventi a livello nazionale. Non si esclude che proprio queste norme potranno comunque impattare, anche significativamente, sulle procedure interne degli operatori del settore alimentare (si pensi, ad esempio, a un particolare contingentamento della forza lavoro dell’impresa, ovvero alla maggiore difficoltà di impiego dell’intero organico di una azienda, di personale particolarmente qualificato e strategico o dei suoi collaboratori esterni), prevedendo, ove necessario, delle deroghe alla prassi sin qui seguita dalla singola impresa, ma sempre con il fine di assicurare che, in “tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti” siano soddisfatti “i pertinenti requisiti di igiene” (art. 3 Reg. CE n. 852/2004).

 

Le misure straordinarie approvate per la filiera alimentare

In un susseguirsi di norme volte a fronteggiare una situazione in continuo e preoccupante aggravamento, si vogliono segnalare quelle disposizioni che, alla data di redazione del presente lavoro, paiono impattare maggiormente sul comparto agroalimentare su scala nazionale (con esclusione quindi di quei provvedimenti che hanno riguardato, nelle settimane scorse, zone geografiche dapprima limitate e poi sempre più estese), sino al Decreto Legge cd. “Cura Italia” del 17 marzo 2020, n. 18 e alle misure intraprese dai dicasteri maggior- mente coinvolti nel settore che qui occupa per fronteggiare la crisi sanitaria in atto. A queste si aggiungono disposizioni che, per ragione di brevità, non verranno qui trattate (si pensi alla sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico, di cui al D.L. 23 febbraio 2020), ma che evidentemente stanno producendo i loro effetti sull’intero comparto (sempre a titolo esemplificativo si citi, proprio in ragione del divieto di manifestazioni di cui sopra, l’annullamento o il rinvio di importanti eventi fieristici di respiro internazionale, come Vinitaly e Cibus 2020). Da ultimo, un doveroso riferimento verrà fatto alla prima delle iniziative adottate dall’Unione Europea per la filiera agroalimentare nella convinzione (e non solo speranza) che l’emergenza sia affrontata con unitarietà di intenti e misure anche a livello continentale.

 

I Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e le attività nel settore della produzione, vendita e somministrazione di alimenti

Tra i provvedimenti d’urgenza emanati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, si segnala innanzitutto il DPCM 11 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”, che esplica i suoi effetti (almeno per il momento) dalla data del 12 marzo 2020 fino al 13 aprile 2020.

La prima e più rilevante misura riguarda la sospensione delle attività commerciali al dettaglio (compresi i mercati), fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità, sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purché sia consentito l’accesso alle sole predette attività. Si evidenziano nell’elenco riportato di seguito (Allegato 1 al DPCM 11 marzo 2020) le attività di maggiore interesse per il settore agro- alimentare di cui è garantita la prosecuzione, fermo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro:

  • Ipermercati
  • Supermercati
  • Discount di alimentari
  • Minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari
  • Commercio al dettaglio di prodotti surgelati
  • Commercio al dettaglio in esercizi non specializzati di computer, periferiche,
  • attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici
  • Commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati (codici ateco: 47.2)
  • Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione in esercizi specializzati
  • Commercio al dettaglio apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni (ICT) in esercizi specializzati (codice ateco:47.4)
  • Commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico
  • Commercio al dettaglio di articoli igienico-sanitari
  • Commercio al dettaglio di articoli per l’illuminazione
  • Commercio al dettaglio di giornali, riviste e periodici
  • Farmacie
  • Commercio al dettaglio in altri esercizi specializzati di medicinali non soggetti a prescrizione medica
  • Commercio al dettaglio di articoli medicali e ortopedici in esercizi specializzati
  • Commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l’igiene personale
  • Commercio al dettaglio di piccoli animali domestici
  • Commercio al dettaglio di materiale per ottica e fotografia
  • Commercio al dettaglio di combustibile per uso domestico e per riscaldamento
  • Commercio al dettaglio di saponi, detersivi, prodotti per la lucidatura e affini
  • Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet
  • Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato per televisione
  • Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto per corrispondenza, radio, telefono
  • Commercio effettuato per mezzo di distributori automatici

È da escludere che all’interno delle strutture sopra indicate si possa continuare a vendere contestualmente prodotti diversi dai generi alimentari e di prima necessità (si pensi ai supermercati della grande distribuzione che ospitano al loro interno svariate categorie di merci, come ad esempio i casalinghi e gli articoli per la casa, i giocattoli, la biancheria). Diversamente, oltre a ingenerare una ulteriore possibilità di assembramento degli individui ed una maggiore permanenza all’interno delle strutture con crescenti rischi di contagio, si creerebbe un ingiusto vantaggio concorrenziale a detrimento di negozi specializzati che, allo stato, sono costretti ad interrompere la vendita al dettaglio dei propri prodotti non ricompresi nelle categorie indicate.

In tema di attività commerciali al dettaglio, la Regione Lombardia, con Ordinanza n. 514 del 21 marzo 2020, in ragione della necessità e l’urgenza di misure specifiche più restrittive per il territorio regionale ai fini di garantire la profilassi rispetto ad un’emergenza nazionale che si sta sviluppando con una concentrazione territoriale differenziata e che non consente un’uniforme applicazione delle medesime norme sull’intero territorio nazionale, ha ribadito la limitazione delle attività consentite a quelle attinenti alla vendita di generi alimentari e di prima necessità, sospendendo tuttavia altresì tutti i mercati settimanali scoperti, sia per il settore merceologico alimentare che non alimentare, nonché chiudendo i distributori automatici cd. “h24” che distribuiscono bevande e alimenti confezionati. Viene fatto inoltre obbligo di limitare l’accesso all’interno dei locali a un solo componente del nucleo familiare, salvo comprovati motivi di assistenza ad altre persone, raccomandando di provvedere alla rilevazione sistematica della temperatura corporea anche ai clienti presso i supermercati e le farmacie, oltre che ai dipendenti dei luoghi di lavoro, se aperti.

Le disposizioni regionali producono effetto sino alla data del 15 aprile 2020.

Il DPCM 11 marzo 2020 interviene poi sulle attività di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), dapprima limitate alla fascia oraria 6.00/18.00, con obbligo, a carico del gestore, di predisporre le condizioni per garantire la possibilità del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro (DPCM 8 marzo 2020), e quindi definitivamente sospese a far data dalla pubblicazione del Decreto ora in commento. Fanno eccezione: (i) le mense e il catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di un metro, (ii) la ristorazione con consegna a domicilio (cd. food delivery) “nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto”; (iii) gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali, garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

Quanto alle attività produttive, il DPCM 11 marzo 2020 (a cui fa eco l’Ordinanza n. 514 del 21 marzo 2020 della Regione Lombardia) consente poi la prosecuzione dell’attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agroalimentare, comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi. Ciò tuttavia a condizione che siano rispettate condizioni igieniche e sanitarie tali da evitare possibili contagi e siano seguite, al pari delle altre attività produttive consentite, le seguenti raccomandazioni:

  • incentivo alle modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
  • incentivo alle ferie e ai congedi retribuiti per i dipendenti nonché agli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
  • sospensione delle attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
  • adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, adozione di strumenti di protezione individuale;
  • implementazione di operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali;
  • limitazione al massimo degli spostamenti all’interno dei siti;
  • contingentamento dell’accesso agli spazi comuni.

Sempre con riguardo alle attività produttive, si registra l’emanazione del DPCM 22 marzo 2020, in base al quale sono sospese, su tutto il territorio nazionale e sino alla data del 13 aprile, tutte le attività non indicate nell’allegato 1 al medesimo Decreto (fatta salva la possibilità di prosecuzione in modalità a distanza o lavoro agile) e che non sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere indicate. Per quanto di interesse per il comparto agroalimentare, il DPCM da ultimo richiamato consente specificamente l’attività di “produzione, trasporto, commercializzazione e consegna […] di prodotti agricoli e alimentari” (art. 1, comma 1, lett. e), mentre, tra le attività indicate nell’Allegato 1 (così come modificato dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 25 marzo 202025), si segnalano le seguenti ritenute di maggiore attinenza e rilevanza per la filiera agroalimentare: coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali, pesca e acquacoltura, industrie alimentari e delle bevande, la fabbricazione di macchine per l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco (incluse parti e accessori), il commercio all’ingrosso di materie prime agricole e animali vivi, di prodotti alimentari, bevande e prodotti del tabacco, la ricerca scientifica e sviluppo, le attività professionali, scientifiche e tecniche, servizi veterinari, attività di imballaggio e confezionamento conto terzi.

Ogni attività di cui è consentita la prosecuzione deve rispettare i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 tra il Governo e le parti sociali.

 

Il Decreto Legge “Cura Italia”del 17 marzo 2020, n. 18 e le misure a favore del comparto alimentare

Senza voler entrare nel merito delle disposizioni che interessano trasversalmente tutti i settori economici, giova ora prendere in considerazione quelle norme del Decreto Legge del 17 marzo 2020, n. 18 (cd. “Cura Italia”), che, in maniera più diretta e specifica, interessano il comparto agroalimentare, nella consapevolezza che trattasi di previsioni che potrebbero subire modifiche e integra- zioni in sede di conversione durante l’iter parlamentare. Tra queste si segnalano:

  • L’estensione della Cassa integrazione in deroga per tutti i lavoratori agricoli e della pesca, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo non superiore a nove settimane (art. 22)
  • L’indennità di Euro 600 per il mese di marzo per i lavoratori dipendenti stagionali del settore turismo (con possibile rilevanza per coloro che sono impiegati in attività di ricezione e somministrazione di alimenti e bevande) e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro dopo il 1° gennaio 2019 (art. 29) e per i lavoratori agricoli a tempo determinato che nel 2019 abbiano effettuato almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo (art. 30). Tali indennità non sono cumulabili tra loro o con le altre indennità previste dal Decreto, né riconosciute ai percettori di reddito di cittadinanza (art. 31)
  • La proroga al giorno 1° giugno 2020 del termine di presentazione delle domande di disoccupazione agricola nell’anno 2020 (art. 32)
  • Le misure per l’internazionalizzazione del Sistema Paese, tramite l’istituzione di un “Fondo per la promozione integrata”, con una dotazione iniziale di 150 milioni di euro per l’anno 2020, allo scopo di realizzare iniziative tra cui la realizzazione di una campagna straordinaria di comunicazione volta a sostenere le esportazioni italiane e l’affermazione su scala mondiale del sistema economico nazionale nel settore agroalimentare. (art. 72)
  • L’aumento dal 50% al 70% degli anticipi dei contributi PAC a favore degli agricoltori (art. 78, comma 1)
  • L’istituzione di un Fondo da 100 milioni di Euro a sostegno delle imprese agricole, e per l’arresto temporaneo dell’attività di pesca (art. 78, comma 2)
  • L’aumento di 50 milioni di Euro del Fondo indigenti per assicurare la distribuzione delle derrate alimentari (art. 78, comma 3)
  • L’aumento dal 50% al 70% degli anticipi dei contributi PAC a favore degli agricoltori (art. 78, comma 1)
  • L’istituzione di un Fondo da 100 milioni di Euro a sostegno delle imprese agricole, e per l’arresto temporaneo dell’attività di pesca (art. 78, comma 2)
  • L’aumento di 50 milioni di Euro del Fondo indigenti per assicurare la distribuzione delle derrate alimentari (art. 78, comma 3)
  • La modifica al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 in materia di occupazione e mercato del lavoro, con la conseguenza che non integrano un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni rese in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale, senza corresponsione di compensi, svolte da parenti e affini sino al “sesto grado” (art. 105).

Queste norme, come detto, vanno ad aggiungersi alle misure a sostegno del lavoro (Titolo II), alle misure fiscali a sostegno della liquidità delle famiglie e delle imprese (Titolo IV) ed alle misure a sostegno della liquidità attraverso il sistema bancario (Titolo III), tra cui troviamo, a titolo esemplificativo e con possibile interesse per il comparto agroalimentare:

  • l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 49, comma 1, del Decreto Legge in commento (Fondo centrale di garanzia PMI) anche alle garanzie di cui all’articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, in favore delle imprese agricole e della pesca ( 49, comma 8);
  • misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di Covid-19, di cui all’art. 56, ivi inclusa la sospensione sino al 30 settembre 2020 del pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, e la dilazione del piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti ( 56, comma 2, lett. c).

Tenuto conto dell’importanza di garantire ambienti sicuri sia per i lavora- tori che, nel comparto che qui occupa, per i prodotti della filiera alimentare, si segnala da ultimo la previsione di cui all’art. 43 (Contributi alle imprese per la sicurezza e potenziamento dei presidi sanitari), in base alla quale, allo scopo di sostenere la continuità, in sicurezza, dei processi produttivi delle imprese, viene stanziato un importo di 50 milioni di Euro da erogare alle imprese per l’acquisto di dispositivi ed altri strumenti di protezione individuale.

 

I provvedimenti del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali

Le misure di cui sopra hanno ricevuto il plauso del Ministro delle Politi- che Agricole Alimentari e Forestali: “Liquidità e sostegno a lavoratrici e lavoratori, imprese, persone più fragili con l’ampliamento del Fondo indigenti: sono le direttrici lungo cui ci siamo mossi per garantire la filiera in questo momento essenziale al Paese insieme a quella sanitaria”, così il Ministro Teresa Bellanova. “Abbiamo migliaia di imprenditori in difficoltà ma che producono, coltivano, allevano animali, pescano, trasformano il cibo. Il bene-cibo è essenziale e dobbiamo essere grati all’intera filiera alimentare per quanto sta facendo e continuerà a fare”.

Il Ministero si è inoltre mosso nel settore caseario, comunicando, in data 16 marzo 2020, di aver predisposto e firmato un Decreto da 6 milioni di Euro da destinare all’acquisto di latte fresco italiano raccolto nel periodo di maggior rischio di spreco, per la relativa distribuzione gratuita alle persone più bisognose.

Ancora, in un momento storico contraddistinto da inevitabile incertezza e nell’ottica di tutela del Sistema Paese a partire da uno dei suoi maggiori settori trainanti, quello agroalimentare, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali si è mosso (e si sta muovendo), di concerto con altri dicasteri, allo scopo di rimuovere eventuali ostacoli alle frontiere, evitando che le merci e i prodotti alimentari italiani siano penalizzati da richieste e comportamenti irricevibili di Paesi terzi.

 

Il Reg. di Esecuzione (UE) 2020/466 del 30 marzo 2020 nel settore dei controlli ufficiali

La prima risposta europea alla crisi nel settore agroalimentare è affidata al Regolamento di Esecuzione (UE) 2020/466 del 30 marzo 2020, con cui sono state disposte misure temporanee (fino al 1° giugno 2020) volte a contenere rischi sanitari diffusi per l’uomo, per gli animali e per le piante e per il benessere degli animali in occasione di determinate gravi disfunzioni dei sistemi di controllo degli Stati membri dovute alla malattia da coronavirus.

Nello specifico, preso atto delle importanti restrizioni alla libera circola- zione delle persone all’interno degli Stati membri ai fini del contenimento del contagio ed il pregiudizio alla capacità di impiegare personale adeguato per i controlli e le altre attività ufficiali di cui al Reg. (UE) 2017/625, la Commissione ha previsto la possibilità per gli Stati membri di derogare ad alcune disposizioni ora vigenti.

Le deroghe al sistema di cui al Reg. 2017/625, che gli Stati membri possono adottare, informandone Commissione e altri Stati membri, prevedono in particolare:

  • l’impiego di persone fisiche specificamente autorizzate dall’autorità competente, sulla base delle loro qualifiche, formazione ed esperienza pratica, per l’esecuzione dei controlli e delle altre attività ufficiali, secondo le istruzioni di volta in volta impartite;
  • la possibilità di eseguire controlli su copie elettroniche (e non solo cartacee) dei certificati e degli attestati ufficiali originali che accompagnano le partite di animali e di materiale germinale trasferite fra gli Stati membri o in ingresso nell’Unione Europea;
  • la designazione da parte dell’autorità competente di laboratori diversi da quelli ufficiali per l’esecuzione di analisi, prove o diagnosi;
  • l’utilizzo dei mezzi di comunicazione a distanza per l’organizzazione di riunioni con gli operatori e il loro personale nel contesto di attività di ispezione, audit, interviste al personale, esami dei documenti, ecc.

 

L’incidenza dell’emergenza Covid-19 sui contratti di filiera

Dai provvedimenti sopra esaminati si può dedurre che il comparto agroalimentare, settore strategico ed eccellenza del nostro Paese, abbia ricevuto una particolare attenzione da parte dell’Esecutivo, con una serie di deroghe che stanno consentendo all’intera filiera, pur con le innegabili difficoltà del caso, di proseguire la propria attività a vantaggio sia del mercato che dei consumatori.

Nel quadro così delineato è tuttavia necessario interrogarsi su quali siano gli strumenti giuridici con cui gli operatori del settore possano far fronte a situazioni che inficino patologicamente il buon esito dei rapporti e compromettano il sinallagma contrattuale lungo tutta la filiera.

Un buon punto di partenza è concettualmente rappresentato dall’art. 1218 c.c., in forza del quale l’inadempimento della prestazione dovuta o il suo ritardo non comportano conseguenze risarcitorie per il debitore nell’ipotesi in cui siano stati determinati dall’impossibilità della prestazione “derivante da causa a lui non imputabile”.

Il primo concetto che è dunque bene circoscrivere e declinare nel caso di specie è quello di “impossibilità”, la quale, per essere liberatoria per il debitore (e quindi risolutoria del contratto ex art. 1463 c.c.) deve essere: sopravvenuta (ossia successiva alla stipulazione del contratto), definitiva (ossia non temporanea, salvo in questo caso il rimedio sospensivo di cui all’art. 1256, comma 2, v. oltre) e non imputabile al debitore.

In questi termini anche un provvedimento legislativo o amministrativo emanato dopo la conclusione del contratto (cd. factum principis) può rendere oggettivamente impossibile la prestazione. Ciò a condizione che l’ordine o il divieto sopravvenuti e provenienti dall’autorità non fossero ragionevolmente e facilmente prevedibili, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione31, ovvero che il debitore abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offri- vano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità.

Ora, è di tutta evidenza che l’attuale situazione di straordinaria emergenza non potesse, nella pressoché totalità dei casi, essere ragionevolmente prevista e preventivabile dalle parti di contratti stipulati in tempi non sospetti (e comunque prima della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale, ossia il 31 gennaio 202033), così come non prevedibili erano e sono i provvedimenti che, di giorno in giorno, vanno ad incidere sulla quotidianità di cittadini e aziende, limitando le libertà personali e la stessa attività di impresa a tutela della salute pubblica per fronteggiare la pandemia in atto.

Riservando ad un esame del caso concreto la valutazione dei presupposti appena indicati, si potrebbe comunque dubitare che, in termini generali, i provvedimenti sino ad oggi adottati (con esclusione del settore della somministrazione e ristorazione) rendano le prestazioni degli operatori del comparto alimentare impossibili in senso stretto, ben potendo i rapporti in essere, pur con le difficoltà e con le conseguenze che di seguito si andranno a esaminare, pro- seguire senza soluzione di continuità.

Analogamente, rispetto ad altri settori maggiormente colpiti da provvedimenti impeditivi e sospensivi dell’attività economica, è ragionevole pensare che anche l’istituto dell’impossibilità temporanea della prestazione troverà un’applicazione più sporadica nella filiera alimentare, fatti salvi casi di singola e specifica necessità che possano interessare il singolo operatore, trovatosi, ad esempio, a dover rinunciare alla sua forza lavoro a causa di contagi nella propria azienda e quindi impossibilitato ad adempiere alla propria obbligazione sino al termine del periodo di quarantena dei propri dipendenti. Potrà quindi accadere in questi casi che, laddove sia maggiore l’interesse a conservare la relazione, ad esempio in contratti di distribuzione e fornitura magari di lunga durata, si ricorra al rimedio della sospensione, almeno fino a quando, nel protrarsi della impossibilità temporanea, il creditore non abbia più interesse alla prestazione, ovvero non abbia più un interesse apprezzabile ad una prestazione solo parziale (art. 1256, comma 2 e art. 1464 c.c.).

Proprio quest’ultimo esempio concreto conduce all’analisi di un ulteriore istituto che, al pari di altri ambiti produttivi, può interessare oggi il comparto agroalimentare, ossia l’“eccessiva onerosità sopravvenuta” della prestazione. I presupposti per l’applicazione dell’art. 1467 c.c. risiedono, da un lato, nella natura dei contratti interessati, che devono essere a esecuzione continuata, differita o periodica (quali tipicamente i contratti di fornitura), e dall’altro lato, nelle caratteristiche degli avvenimenti, ossia straordinarietà e imprevedibilità (fuori dalla normale alea del contratto), che consentono di ricorrere ai rimedi previsti. L’articolo in parola riserva alla parte che deve adempiere la prestazione divenuta eccessivamente onerosa la possibilità di domandare la risoluzione del contratto con efficacia retroattiva, fatte salve le prestazioni già eseguite, lasciando all’altra parte la scelta di evitare tale conseguenza offrendo di modificare equamente le condizioni di contratto.

Come detto, sui presupposti di applicabilità di tale norma nell’emergenza attuale vi sono pochi dubbi anche per il comparto agroalimentare, salva una verifica caso per caso dei singoli rapporti e situazioni. Ove infatti un operatore sia in grado di provare un aumento non prevedibile (e, a oggi, a lui difficilmente imputabile) del proprio sacrificio economico, che ecceda la normale alea del contratto, l’istituto in oggetto potrà trovare applicazione (si pensi al caso del trasformatore di alimenti che, a causa delle restrizioni alle importazioni da Paesi terzi ovvero a difficoltà di approvvigionamento di materie prime e ingredientistica, si trovi costretto a dover sostituire i propri fornitori sostenendo costi ben più elevati e sopportando condizioni economiche fortemente penalizzanti che si riverberano poi nella sua capacità di far fronte alle richieste della propria clientela).

Ancora. Tornando al concetto di impossibilità, è da chiedersi se la stessa possa avere rilievo sul piano giuridico (e con quali conseguenze sul sinallagma contrattuale) ove attenga non tanto alla prestazione del debitore quanto alla capacità di ricezione della medesima da parte del creditore o la sua concreta utilizzazione. Volendo esemplificare, si faccia riferimento ad un operatore nel settore della torrefazione del caffè, la cui attività è certamente “possibile”, pur nella complicata e difficile situazione attuale, ma per cui la fornitura del proprio prodotto a bar e ristoranti, presumibilmente oggetto di un contratto a esecuzione continuata o periodica, finisce per non essere accettata dalla sua clientela nella contingenza del momento, in ragione dei provvedimenti di chiusura forzata dei locali di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.

In questi casi, per poter essere opponibile, l’inutilizzabilità della prestazione non deve ovviamente essere imputabile al creditore e deve essere venuto meno il suo interesse a ricevere la prestazione medesima. Ove tali requisiti sussistano, l’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore, pur se non specificamente prevista ex lege, è da considerarsi causa di estinzione dell’obbligazione, autonoma e distinta dalla sopravvenuta impossibilità totale (ex art. 1463 c.c.) o parziale (ex art. 1464 c.c.) di esecuzione della medesima.

Proprio sulla questione la giurisprudenza più recente ha ribadito che, “in tema di risoluzione del contratto, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell’obbligazione”.

Da ultimo, è da chiedersi se, a fronte di circostanze imprevedibili che abbiano alterato sensibilmente l’equilibrio contrattuale, il nostro ordinamento riconosca un diritto-dovere di rinegoziazione delle clausole divenute inique.

A tale riguardo, nella mancanza di disposizioni generali sul punto salvo che per casi specifici, sopperisce l’interpretazione del principio di buona fede, che, pur in difetto di una espressa clausola di rinegoziazione (cd. hardship clause), nei contratti sottoscritti tra due o più soggetti, vincola le parti a rivedere e riportare ad equità quelle pattuizioni divenute eccessivamente onerose.

La buona fede può quindi intervenire nella vicenda negoziale, divenendo vero e proprio obbligo di solidarietà e imponendo a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali, sono idonei a preservare gli interessi dell’altra parte, adeguando il sinallagma alla situazione di fatto nel frattempo venutasi a mutare.

Conseguentemente, a fronte dell’invito a rinegoziare di una parte, in presenza – si intende – dei presupposti che lo rendano necessario, l’altro contraente è tenuto ad accettare le modifiche proposte o a proporre soluzioni che, nel rispetto dell’economia del contratto e tenuto conto della propria convenienza economica, consentano di ripristinare l’equilibrio, con la conseguenza che, in difetto, la parte non inadempiente potrà agire per la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno o ricorrere all’Autorità Giudiziaria affinché riconduca ad equità il contratto.

Si tratta, come detto, di una interpretazione delle norme, frutto di una sempre maggior consapevolezza anche sul piano internazionale dell’importanza del mantenimento del sinallagma, soprattutto a fronte di eventi imprevedibili e potenzialmente idonei ad alterare significativamente l’equilibrio contrattuale. Su questo non dubitiamo che l’emergenza ora in atto fornirà occasione di approfondire tali concetti in tutti i settori, ivi incluso quello agroalimentare.

 

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